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Di Ovidio, il grande poeta di Sulmona, si sa poco o niente, salvo rapidi ed elusivi accenni che lui stesso affida ai propri versi. Si ignora, per esempio, il vero motivo per cui Ottaviano Augusto ne dispose l'espulsione da Roma e la relegazione nelle fredde regioni a nord del Ponto Eusino, e ne trascurò successivamente, con un gelido silenzio, le richieste di perdono. Ovidio finì i suoi giorni nell' esilio di Tomi, tormentato dal sogno di un ritorno che non ci sarebbe stato. Dal buio, più o meno totale, intorno alla sua esistenza nasce questo romanzo nel quale l'autore utilizza ipotesi, congetture e finzioni avvolte in un alone di verità, avvalendosi di documentazione accurata della vita a Roma nell'epoca augustea, coi suoi intrighi di potere e la sua corruzione, così simile a quella contemporanea, con le bassezze di ricchi e cortigiani e l'insensibile rozzezza della sua numerosa plebe. La struttura del romanzo ha un doppia binario narrativo: Labano, il liberto che aveva accesso allo studio e alla vita spirituale di Ovidio, che racconta in prima persona (infine porterà le ceneri del poeta alle porte di Roma, come lui desiderava). E poi "il Narrante" oggettivo che riferisce in terza persona, utilizzato per descrivere ciò che Labano ignora e al tempo stesso gli eventi e i costumi di allora.